Palermo fine settecento c’è una donna vecchia e brutta si chiama Giovanna Bonanno ma sarà ricordata sino ai giorni nostri come la "Vecchia dell'aceto". La popolana è povera, ma ha una dote importante, sa leggere e la nonna le ha lasciato in eredità dei libri. Lei quei libri li aveva letti avidamente, imparando, tra l’altro, come ingannare la gente sciocca e superstiziosa che la circondava. Per anni si guadagnò da vivere vendendo pozioni d’amore, intrugli, filtri per risvegliare la virilità o per annullare il malocchio. La fattucchiera è ben voluta nel quartiere, ma i suoi servizi non le permettono una vita agiata. Il prologo di questa storia criminale avviene nel 1786. La donna, che gira in lungo e largo il suo quartiere, viene a conoscenza di una bambina che, involontariamente, ingerisce aceto per pidocchi. La bimba sta male per diverse settimane, ma si salva, e la vecchia scopre che a causare la malattia è stato proprio l’ingerimento di aceto per pidocchi. La megera, ma come diremo meglio noi siciliani la magara, pensa di unire a quella sostanza dell’arsenico e del vino bianco e confezionare così un insidioso e mortale veleno.