• Com’eri vestita?

  • Dec 16 2024
  • Durée: 17 min
  • Podcast

  • Résumé

  • Chi riesce a sopravvivere dopo essere stata abusata sessualmente e sceglie di denunciare il sopruso, invece, rischia di addentrarsi in un processo sociale chiamato “vittimizzazione secondaria”, per cui si presuppone, più o meno velatamente, che avrebbe potuto evitare lo stupro se solo… Se solo si fosse comportata in modo diverso, ad esempio. O se avesse evitato di lanciare quello sguardo. O se solo avesse indossato abiti meno provocanti.
    Non a caso, una delle prime domande poste ancora oggi nelle stazioni di polizia o nelle aule di giustizia alle vittime di violenza è: com’eri vestita quel giorno?
    A questa domanda si ispira la mostra – intitolata “Com’eri vestita?”, appunto – allestita a novembre al Palazzo di Giustizia di Milano che, ispirandosi a un progetto della University of Kansas e della University of Arkansas, racconta la storia di 17 donne abusate e violentate. Ogni storia è affiancata dalla rappresentazione fedele degli abiti indossati dalla vittima al momento dello stupro.
    Come ha detto Gino Cecchettin dopo l’annuncio dell’ergastolo per Filippo Turetta, “la sensazione è che abbiamo perso tutti come società. La violenza di genere non si combatte con le pene, bensì con la cultura. Come essere umano mi sento sconfitto. Come società, dobbiamo capire cosa è crudeltà e cosa è stalking. Aiutateci in questo percorso perché c'è tanto da fare”.
    Ne parlo con Antonino La Lumia, presidente dell’Ordine degli avvocati di Milano, che ha partecipato al suo allestimento.
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